A seguito della seconda guerra mondiale, si apriva un nuovo capitolo nella storia dell’ordinamento portuale doganale di Trieste58.
In particolare, il 10 febbraio 1947 veniva firmato il Trattato di Pace di Parigi tra le Potenze Alleate ed Associate e l’Italia, reso esecutivo con decreto legislativo del Capo Provvisorio dello Stato del 28 novembre 1947 n. 1430, ratificato con l. 25 novembre 1952 n. 3054.
Pure trattandosi di un accordo internazionale, va considerato che, essendo un trattato di pace, esso veniva imposto ai paesi che avevano perso la guerra, ed in particolare all’Italia, da parte degli stati vincitori.
Tale Trattato riportava 17 Allegati, 5 dei quali riguardavano Trieste ed in particolare l’Allegato VIII con cui veniva reintrodotto il concetto di porto franco (Free Port) prescrivendone la futura istituzione («sarà creato nel Territorio libero un porto franco doganale») e fissandone i confini entro quelli delle zone franche del 1939.
L’Allegato VIII, che costituisce tuttora il pilastro portante dell’attuale disciplina del Porto franco di Trieste, si rifaceva ai principi di libertà di commercio introdotti dalle patenti asburgiche ma, allo stesso tempo, introduceva un elemento di novità.

All’art. 1 dell’Allegato si affermava che «per assicurare che il porto ed i mezzi di transito di Trieste possano essere utilizzati in condizioni di eguaglianza da tutto il commercio internazionale…il regime internazionale del porto franco sarà regolato dalle disposizioni del presente Strumento». Lo scopo dell’Allegato VIII, quindi, era (ed è tuttora) di garantire l’utilizzo del porto in condizioni di assoluta parità per tutti gli operatori del commercio internazionale secondo le consuetudini in vigore negli altri porti franchi mondiali59.
Veniva altresì prevista la possibilità di ampliare l’area del Porto franco (art. 3) e ne veniva statuita la procedura di attuazione.
Ma l’elemento di novità è contenuto all’art. 2 dell’Allegato in cui veniva riconosciuta una personalità giuridica all’ente Free Port attribuendo allo stesso le caratteristiche «di un ente autonomo e decentrato: autonomia istituzionale, normativa e patrimoniale»60.
Proprio in relazione a tale concetto di ente autonomo e decentrato, ed alla effettiva costituzione nell’ordinamento giuridico interno italiano dell’ente Free Port, sono sorti dubbi interpretativi (sul punto si rinvia al quarto capitolo).
Il medesimo Trattato di pace prevedeva, agli artt. 21 e 22 e agli Allegati VI, VII, VIII, IX e X, la creazione del Territorio Libero di Trieste61, ossia uno stato indipendente, garantito dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, demilitarizzato e neutrale, con governo, potere legislativo e giudiziario propri (questa parte del Trattato, come si vedrà nel proseguo, non è mai stata attuata e venne formalmente abrogata nel 1954 dal Memorandum di Londra).
Va evidenziato che, come si legge dal Memorandum di Londra, «quando il Trattato fu firmato non era mai stato inteso che queste responsabilità dovessero essere altro che temporanee».
Negli anni successivi il Governo militare alleato con tre ordini successivi (nn. 118/49 108/50 141/52) ampliò le free zones attraverso l’istituzione del punto franco per i legnami a Prosecco e con l’estensione all’area anche all’ex Arsenale.
Seguì la sottoscrizione in data 5 ottobre 1954 da parte dell’Italia, del Regno Unito, degli Stati Uniti e della Repubblica Federativa Popolare di Jugoslavia del Memorandum d’intesa di Londra avente ad oggetto il regime di amministrazione provvisoria del Territorio Libero di Trieste (TLT), previsto dall’Allegato VII del Trattato di Parigi del 1947.
Sebbene tale accordo fosse denominato Memorandum, si trattava di un vero e proprio trattato internazionale il cui scopo principale era di risolvere definitivamente le questioni relative ai confini tra Jugoslavia ed Italia, per la parte non prevista dal Trattato di Pace, vale a dire fissando i confini tra i due Stati derivanti dalla spartizione del Territorio Libero62, e contestualmente di abrogare le previsioni in merito al Territorio Libero di Trieste che, di fatto, non venne mai a esistenza giuridica.
Il territorio in questione venne amministrato per la zona B dal governo militare jugoslavo e per la zona A (comprendente la città di Trieste) dal governo militare anglo-americano, mentre non venne mai nominato il Governatore63, nomina da cui discendeva l’applicabilità dello Statuto prima provvisorio e poi definitivo del nuovo Stato.
Pertanto, come si legge nel Memorandum, veniva «constatata l’impossibilità di tradurre in atto le clausole del Trattato di Pace con l’Italia relativo al Territorio Libero di Trieste»64.
Tale mutamento della situazione di fatto, che determinò l’impossibilità di realizzare il TLT, consentì di applicare il principio internazionale «rebus sic stantibus»65.
Il Memorandum, quindi, modificava il Trattato di pace nelle parti riguardanti gli aspetti predetti, emendamento che ben poteva essere attuato ad opera degli unici due tra i Paesi firmatari (Italia e Jugoslavia) che vi avevano interesse al fine di ridefinire i confini territoriali e che era permesso dai principi di diritto internazionale.
Quanto, invece, alle disposizioni del Trattato di pace inerenti il Porto franco di Trieste, il Memorandum le faceva salve statuendo, all’art. 5, che «the Italian Government undertakes to maintain the Free Port at Trieste in general accordance with the provisions of Articles 1-20 of Annex VIII of the Italian Peace Treaty».

Anche tale accordo, tuttavia, che pur menzionava il Free Port, non scioglieva i dubbi in merito alla situazione giuridica del Porto franco di Trieste quale «ente autonomo e decentrato».
Il predetto art. 5, infatti, conteneva un’equivoca espressione che dava adito ad una duplice interpretazione: secondo alcuni il richiamo ai principi fissati dall’Allegato VIII al Trattato di pace («in general accordance with the provisions»66) era da riferirsi ai principi fondamentali della libertà dei traffici e della non discriminazione di bandiera. In altre parole, secondo tale orientamento, con l’intesa del ’54 si era voluto prescrivere allo Stato italiano una prestazione di risultato, consistente appunto nella libertà dei traffici, e non invece una prestazione di mezzi quale la costituzione dell’ente Free Port. Secondo tale interpretazione, quindi, il Free Port doveva essere inteso come l’insieme delle Free Zones soggette al regime internazionale della franchigia, nell’ambito di un ordinamento amministrativo di competenza statale e ministeriale.
Secondo altri, invece, il richiamo del suddetto Memorandum, riferendosi a tutte le norme principio dell’Allegato VIII, e quindi anche a quelle concernenti l’autonomia ed il decentramento dell’ente Free Port, avrebbe comportato un obbligo internazionale dell’Italia di istituire l’ente Free Port.
Al momento dell’attuazione del Memorandum, con la cessazione del governo militare alleato nella zona A del Territorio Libero e con il subentro della sovranità ed amministrazione italiana, venne nominato un Commissario generale del governo con potere normativo ed amministrativo al fine di armonizzare la legislazione del governo militare alleato con quella italiana67. Ciò avvenne con il decreto del Presidente della Repubblica 27 ottobre 195468 e con il decreto commissariale 24 novembre 1954 n. 36.

Uno dei primi atti del Commissario generale del governo di Trieste fu il decreto commissariale del 19 gennaio 1955 n. 2969 proprio in materia di porto franco, con il quale veniva data attuazione all’obbligo del governo italiano, previsto nell’art. 5 del Memorandum, di «mantenere» il porto franco di Trieste.
In tale decreto veniva disciplinato il Porto franco in maniera compiuta, facendo espressamente riferimento alla normativa previgente, ed in particolare al decreto ministeriale del 1925 (a sua volta attuativo della legge del 1922 che, a sua volta, riprendeva la normativa austriaca)70.
Anche in tale atto veniva ripetuta meccanicamente l’espressione «mantenere» di cui all’art. 5 riferendola però al mantenimento del Porto franco «costituito dai… punti franchi» (cfr. art. 1) così dimostrando di accogliere l’interpretazione secondo cui il Free Port doveva essere inteso come l’insieme delle Free Zones.
Successivamente, con il decreto 23 dicembre 1959 n. 53, veniva istituito il punto franco industriale71 (ampliato con il decreto n. 4 del 10 febbraio 1962 e successivamente ridotto con la legge n. 429 del 12 marzo 1968).
Con la legge 9 luglio 1967 n. 589, veniva istituito l’Ente Autonomo del Porto di Trieste, in sostituzione dell’azienda dei Magazzini Generali, di origine austriaca, che aveva fino a quel momento amministrato il porto di Trieste.
Nel medesimo anno veniva emanato il decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1969 n. 1133 sull’armonizzazione della disciplina dei depositi doganali e delle zone franche che, all’art. 32, statuiva che per i punti franchi di Trieste restano ferme le disposizioni più favorevoli in deroga a quanto previsto dal decreto stesso.
Nel decennio successivo, come si è già accennato nel paragrafo precedente, fu emanato il Testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale (D.P.R. 23 gennaio 1973 n. 43).

Anche il TULD riconosceva la qualificazione di porto franco a Trieste facendo riferimento al predetto Allegato VIII. In particolare, all’art. 169, era previsto che «per i punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste di cui all’allegato VIII … restano ferme, in deroga a quanto stabilito nei precedenti articoli, le vigenti disposizioni più favorevoli».
Va poi menzionato il Trattato di Osimo firmato da Italia e Jugoslavia 10 novembre 1975. Con tale trattato si stabiliva, all’art. 7, la cessazione degli effetti nelle relazioni tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia del Memorandum d’intesa di Londra.
Infine, con il Decreto Presidenziale 2 ottobre 1978 n. 714 veniva disposto il riordinamento dell’Ente Autonomo del porto di Trieste disponendo che «restano in vigore tutte le speciali disposizioni riguardanti lo stato giuridico, l’esercizio o l’amministrazione dei punti franchi del porto franco di Trieste» (art. 6.2).
Va da ultimo citata la legge 28 gennaio 1994 n. 84, sul riordino della legislazione in materia portuale, che sostituiva l’Ente Autonomo del Porto con l’Autorità Portuale e, all’art. 6, comma 12, faceva «salva la disciplina vigente per i punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste» specificando che «Il Ministro dei trasporti e della navigazione, sentita l’autorità portuale di Trieste, con proprio decreto stabilisce l’organizzazione amministrativa per la gestione di detti punti franchi».
Per anni, però, tale disposizione rimaneva lettera morta ed il relativo decreto non veniva emanato mancando, quindi, nel Porto franco di Trieste, la figura di un soggetto che esercitasse compiutamente tutte le funzioni già attribuite all’Ente Autonomo del Porto di Trieste, in relazione allo speciale regime di porto franco.
Tale situazione mutò solo con l’emanazione del decreto del 13 luglio 2017 (i cui contenuti verranno analizzati nel quarto capitolo), con cui è stata finalmente disciplinata l’organizzazione amministrativa del Porto franco di Trieste.


  • 58 Sulle vicende storiche di quegli anni v. M. Russo, Trieste. Cenni storici su una città «speciale», in Quaderni del Ludovicianum 2006, p. 97 ss.
  • 59 A. M. Miatello, Les zones franches, les institutions similaires et le droit communautaire, cit. p. 124 ss.
  • 60 Cfr. D. Maltese – E. Volli, Il regime dei punti franchi del porto di Trieste, in Dir. mar. 2000, 1069.
  • 61 Il Territorio Libero di Trieste fu la conseguenza dell’impossibilità di definire, con riferimento alla zona di Trieste, il confine tra Italia e Jugoslavia. In assenza di un accordo tra le stesse potenze vincitrici (tra cui la Jugoslavia), venne creato uno Stato cuscinetto eterodiretto a sovranità limitata, garantito e controllato dal Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite con un governatore nominato dal Consiglio stesso. «In sostanza, era uno Stato sotto tutela, dimezzato, privo di importanti attributi tipici della sovranità (possibilità di scelta del capo dello stato, autonomia nella politica estera, gestione dell’ordine pubblico e dotazione di forze armate), molto simile per struttura alle ex colonie (come, ad esempio la Somalia) affidate al mandato fiduciario delle Nazioni Unite in attesa di conseguire l’indipendenza, ma – a differenza di queste- sottoposto permanentemente a una sorta di sovranità limitata, con un capo di stato per legge straniero» (cfr. TAR, sez. I, Trieste 15 luglio 2013 n. 400).
  • 62 Va evidenziato che il nuovo confine del 1954 non ricalcava esattamente il confine tra le zone A e B del Territorio Libero in quanto nel Memorandum venne prevista una correzione di confine a favore della Jugoslavia nella zona di Muggia per circa 12 mila metri quadri con poco più di tremila abitanti.
  • 63 Per sette anni al Consiglio di Sicurezza dell’ONU si era tentato inutilmente di procedere alla nomina del Governatore, sempre bloccata dal veto sovietico.
  • 64 Appare interessante osservare che nella traduzione in italiano del Memorandum vi furono alcune volute imprecisioni tra cui la traduzione del termine inglese «boundary», tradotta in jugoslavo come «granica» ossia confine, che nel testo tradotto in italiano e divulgato, privo di valore ufficiale, veniva tradotto come «linea di demarcazione». Tale traduzione imprecisa era determinata da ragioni di politica interna, per far credere all’opinione pubblica italiana più sensibile al problema che l’Italia potesse ancora rivendicare la zona B del territorio libero. I confini così come definiti del Memorandum furono poi confermati sia dal Trattato istitutivo della comunità europea del 1957 sia, successivamente, dal Trattato di Helsinki del 1° agosto 1975, in esito alla conferenza sulla sicurezza e la cooperazione in Europa, sottoscritto dai Paesi europei (salvo Andorra e Albania), dagli Stati Uniti e dal Canada, che fissò in via definitiva i confini tra gli Stati europei, compreso quello tra Italia e Jugoslavia. Nello stesso anno, il 10 novembre 1975, fu sottoscritto da Italia e Jugoslavia il Trattato di Osimo che confermava i predetti confini con alcune precisazioni in merito al confine marittimo. A seguito della comunicazione alle Nazioni Unite ed al Consiglio di sicurezza e della registrazione alle Nazioni Unite del predetto trattato, l’Italia e la Jugoslavia chiesero che fosse tolto dall’ordine del giorno (dove era rimasta per decenni) la questione della nomina del governatore del Territorio Libero di Trieste.
  • 65 Si tratta del potere giuridico attribuito ad uno Stato parte di un accordo internazionale di considerare estinto tale accordo in seguito al sopravvenuto mutamento delle circostanze in vista delle quali le parti avevano voluto concludere l’accordo medesimo, e dalla persistenza delle quali consideravano giustificato l’accordo stesso. Sul punto cfr. A. Gioia, Manuale breve di diritto internazionale, Milano, 2006, p. 136.
  • 66 La predetta dizione è stata impropriamente tradotta in italiano con «in armonia» mentre la traduzione più corretta sarebbe «in conformità a». Va altresì evidenziato che l’aggettivo «general» che la precede ne attenua il significato giuridico. La conformità, quindi, non deve necessariamente essere totale, ma sembra riferirsi ai principi fondanti, quindi solo agli aspetti più importanti. In merito a ciò è stato osservato che «al di là del dato letterale, è agevole comprendere le ragioni giuridiche di tale attenuazione; da un lato tutti i riferimenti contenuti negli articoli dall’1 al 20 al territorio libero e ai suoi organi risultano privi di significato dopo il Memorandum, e tutt’al più andrebbero riferiti ai corrispondenti organi dello Stato Italiano, (il quale peraltro non è certo sottoposto alla peculiare e limitativa tutela esterna già prevista per il territorio libero e quindi si articola al suo interno in piena autonomia), dall’altro lato gli stessi contenuti della disciplina giuridica del porto franco di Trieste sono lasciati, salvo il rispetto dei principi fondamentali…alla libera determinazione dello Stato Italiano, e ora anche alle scelte in materia dell’unione europea» (così TAR Trieste, sez. I, 15 luglio 2013 n. 400).
  • 67 Va precisato che non fu però il Commissario generale del governo di Trieste a subentrare al Governo militare alleato, bensì lo Stato italiano: il Commissario generale del governo, fino al 1963, non era che un organo straordinario del Governo italiano con poteri limitati.
  • 68 Con tale provvedimento veniva nominato Commissario generale del Governo il Prefetto dott. Giovanni Palamara «alla diretta dipendenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, per il territorio di Trieste posto sotto la responsabilità del Governo Italiano, con i poteri spettanti al Governo medesimo per l’amministrazione del territorio, nonché con i poteri già esercitati nel territorio predetto dal cessato Governo Militare Alleato». I poteri vennero specificati nel successivo decreto ministeriale n. 36 del 1954 nei seguenti termini: «Il commissario generale del governo per il territorio di Trieste posto sotto la responsabilità del Governo italiano esercita tutti i poteri conferitigli dal decreto del Presidente della Repubblica 27 ottobre 1954. Spettano, tra l’altro, al commissario generale l’alta direzione dei servizi statali e la vigilanza sui servizi locali, nonché il mantenimento dell’ordine pubblico nel territorio amministrato. Nell’esercizio della funzione normativa il commissario generale si avvale di una apposita commissione legislativa di cui fanno parte il primo presidente della Corte d’appello, quale presidente, il rettore dell’Università o, per sua delega, un professore ordinario di materie giuridiche, e l’avvocato distrettuale dello Stato, quali membri. Detta commissione esamina i progetti dei decreti commissariali che le sono sottoposti dal commissario generale per il parere. Nell’esercizio dei suoi poteri il commissario generale si avvale dell’opera degli uffici e delle direzioni sotto elencati, che nel loro complesso costituiscono il commissariato generale del governo per il territorio di Trieste…».
  • 69 Tale decreto, confermando la disciplina previgente, considerava il Porto franco di Trieste «fuori della linea doganale» stabilendo che «in esso, salvo le limitazioni…, si possono compiere, in completa libertà da ogni vincolo doganale, tutte le operazioni inerenti allo sbarco, imbarco e trasbordo di materiali e merci; al loro deposito ad alla loro contrattazione, manipolazione e trasformazione anche di carattere industriale» (art. 4). Oltre a ciò, il medesimo art. 4, statuiva che «le merci estere introdotte nel “Porto Franco” possono essere liberamente rispedite in transito previe le formalità strettamente necessarie a garantire la regolarità dei trasporti attraverso il territorio doganale per la spedizione via terra e salva l’osservanza delle disposizioni relative al transito estranee al regime doganale di porto franco». Infine, la merce nazionale introdotta nel Porto franco veniva considerata come definitivamente esportata ed assimilata a merce estera.
  • 70 Secondo Longobardi si tratta di un provvedimento che formalmente può essere ricondotto a quelli «a contenuto preordinato nel senso che alla formazione della volontà del legislatore locale concorsero in misura determinante precise indicazioni politiche del Governo nazionale che a loro volta traevano ragion d’essere nell’intendimento di dare esecuzione ad impegni assunti dall’Italia nei confronti degli Stati alleati» così R. Longobardi, Le vicende dell’ordinamento portuale di Trieste, in Trasp. 45-46/1988, p. 98.
  • 71 In tale area, secondo l’art. 2 dello stesso decreto, «salvo le limitazioni e le eccezioni…si possono compiere, in completa libertà da ogni vincolo doganale, tutte le operazioni inerenti allo sbarco, imbarco e trasbordo di materiali e merci, al loro deposito ed alla loro contrattazione, manipolazione e trasformazione anche di carattere industriale». Venivano previsti altresì l’esenzione dal dazio doganale dei prodotti petroliferi e dei combustibili destinati al consumo degli stabilimenti ivi ubicati (art. 3), oltre ad ulteriori vantaggi fiscali. Viene altresì ammessa l’esenzione dall’imposta erariale sul consumo di energia elettrica utilizzata nei predetti stabilimenti. Va peraltro osservato che, in assenza di un riferimento a tale punto franco nell’Allegato VIII, a seguito dell’emanazione della normativa comunitaria in materia di unione doganale (su cui v. capitolo II), con il D.P.R. del 30 dicembre 1969 n. 1133, venne precisato che anche tale zona doveva intendersi compresa nella zona del porto franco di Trieste.